Link Utili

 

Corte Europea dei diritti dell'uomo  www.echr.coe.int/

Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell'Uomo www.dirittiuomo.it

Unione Forense per la Tutela dei Diritti dell'Uomo www.unionedirittiumani.it

 

 

 

EVOLUZIONE DELL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO IN ITALIA: 
IL RICONOSCIMENTO DEL TITOLO PROFESSIONALE DI AVVOCATO 
CONSEGUITO IN AMBITO COMUNITARIO ED EXTRA-COMUNITARIO.
(dott.ssa Emanuela Ronzitti)

 

1) DIRITTO DI STABILIMENTO E LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI
Nel quadro della libera circolazione delle persone, il Trattato che istituisce la Comunità Europea ed il Trattato sull’Unione Europea, come modificati dal Trattato di Amsterdam (firmato il 2 ottobre 1997) tutela la libera circolazione dei professionisti, oggi divenuta effettiva nell’ambito dell’Unione Europea, grazie
al sistema di direttive comunitarie sul riconoscimento dei titoli professionali.
Con riferimento ai lavoratori autonomi, il Trattato sull’Unione Europea distingue due situazioni, il diritto di stabilimento, 

disciplinato dagli artt.52-58 (artt. 43-48, nella versione consolidata) e la libera prestazione dei servizi,
artt.59-66, (art. 49-55, nella versione consolidata), che esamineremo con specifico riferimento alla professione di avvocato. Mentre il diritto di stabilimento riguarda il professionista che intende installarsi in uno Stato membro diverso da quello nel quale egli era precedentemente stabilito, al fine di esercitarvi un’attività retribuita ed autonoma, la prestazione di servizi attiene alla possibilità che il professionista stesso presti la propria opera in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito, senza installarsi nello Stato della prestazione (si pensi al caso di un avvocato che presti la sua consulenza ad un cliente residente in un altro Stato membro).
Da tale differenza scaturisce l’opportunità di una diversa disciplina a seconda che la prestazione avvenga con o senza stabilimento nello Stato in cui viene effettuata la prestazione stessa.
Posto che in genere, per il lavoratore indipendente che intenda prestare la propria opera in un altro Stato membro, è preferibile risultare un libero prestatore di servizi piuttosto che essere soggetto ai maggiori oneri derivanti dallo stabilimento, è importante distinguere chiaramente le due situazioni, ed in particolare il concetto fondamentale della "temporaneità" dell’attività svolta da un professionista in un dato Stato, per cui il libero prestatore di servizi è autorizzato a svolgere la sua attività "per l’esecuzione della sua prestazione", quindi appunto in modo occasionale. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee (Lussemburgo) ha negato la possibilità di operare in regime di libera prestazione di servizi a "soggetti che operano prevalentemente" nel territorio dello Stato membro interessato1, ed ha affermato che se l’attività di un soggetto assume caratteristiche di stabilità e permanenza, essa andrà svolta seguendo la disciplina relativa al diritto di stabilimento.
In una sentenza del 30 novembre 1995, resa ai sensi dell’art.177 del Trattato di Roma su richiesta del C.N.F. (Consiglio Nazionale Forense), la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha sottolineato come il carattere temporaneo della prestazione di servizi debba essere valutato tenendo conto della durata, frequenza, periodicità e continuità della prestazione stessa.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha inoltre specificato che l’esercizio stabile e continuativo di un’attività professionale - da parte di un cittadino di uno Stato membro – in un altro Stato in cui offra i propri servizi da un domicilio professionale anche ai cittadini di questo Stato, è soggetto alle disposizioni relative al diritto di stabilimento.
Peraltro, è anche vero che il carattere temporaneo della prestazione non esclude che il prestatore di servizi possa dotarsi, nello Stato membro ospitante, di una determinata infrastruttura (anche uno studio), se tale infrastruttura è necessaria al compimento della prestazione.

2) UN CENNO ALLA DIRETTIVA 77/249/CEE
Il primo passo rilevante in materia di libera prestazione di servizi da parte di avvocati in ambito comunitario è costituito dalla direttiva 77/249/CEE(del 22 marzo 1977), recepita in Italia con la legge 9 febbraio 1982, n.31, che disciplina l’esercizio temporaneo ed occasionale della professione in Italia da parte di avvocati cittadini di altri Stati membri.
Ai sensi di questa normativa, tuttora in vigore, e fatta salva dalla stessa direttiva 98/5/CE (del 16 febbraio 1998) (che vedremo in seguito), per quanto attiene alla libera prestazione dei servizi, gli avvocati in possesso di uno dei titoli professionali specificati all’art.1 della Legge 31/1982 sono innanzitutto tenuti ad utilizzare il proprio titolo professionale nella lingua di origine, specificando l’organizzazione professionale di appartenenza oppure l’autorità giurisdizionale presso la quale sono ammessi ad esercitare la professione.
Le attività che possono essere svolte da un avvocato "comunitario" in libera prestazione di servizi consistono in prestazioni sia giudiziali che stragiudiziali. In particolare, nelle prime gli avvocati comunitari devono comunicare l’assunzione dell’incarico all’autorità adita ed al presidente dell’Ordine degli Avvocati competente per territorio, e devono comunque svolgere le prestazioni di concerto con un avvocato iscritto all’albo ed abilitato all’esercizio della professione dinanzi all’autorità adita. L’avvocato "concertante" 
garantisce i rapporti con l’autorità adita e l’osservanza delle norme rilevanti.
Nelle prestazioni stragiudiziali non si attua il "concerto" su indicato, mentre è naturalmente richiesta l’osservanza della normativa vigente per il corretto esercizio dell’attività professionale.
Ai sensi dell’art. 9 della Legge 31/1982, gli avvocati "comunitari", prima di iniziare la loro attività professionale in Italia, devono inviare al presidente dell’Ordine degli Avvocati competente una comunicazione in lingua italiana contenente i dati rilevanti con riferimento alla loro identità e professionalità.

3) IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA DIRETTIVA n. 2005/36/CE del 7 settembre 2005 relativa a riconoscimento delle qualifiche professionali


Nel caso in cui un cittadino di uno Stato membro – prendiamo ad esempio un avvocato - intenda invece esercitare il suo diritto di stabilimento, le condizioni dell’esercizio di questo diritto vanno valutate in funzione delle attività che egli intende esercitare nello Stato membro "ospitante".
Il secondo comma dell’art.52 (art. 43, nella versione consolidata) del Trattato sull’Unione Europea precisa infatti che la libertà di stabilimento è esercitata alle condizioni definite dalla legislazione dello Stato interessato nei confronti dei propri cittadini. Pertanto, se le attività specifiche che un avvocato "comunitario" intende svolgere in un altro Stato membro non sono soggette ad alcuna disciplina in quello Stato, l’avvocato stesso ha diritto di stabilirsi nel territorio dello Stato in questione e di esercitarvi queste attività.
Da quanto sopra emerge una importante riflessione sull’attività di consulenza che è possibile svolgere in Italia da parte di avvocati di altri Stati, comunitari e non, considerato che tale attività in Italia non è regolamentata in forma di esclusiva e, conseguentemente, è libera. Naturalmente, permane il divieto di utilizzo del titolo professionale di "avvocato" in mancanza di un esplicito riconoscimento del titolo professionale di origine, titolo che potrà essere invece utilizzato nella lingua di origine e specificando l’eventuale ordine di appartenenza.
Per contro, quando un avvocato di un altro Stato membro intende esercitare la sua attività professionale in Italia, incluse le attività riservate dall’ordinamento giuridico italiano agli avvocati iscritti all'albo professionale, si presentano diverse possibilità; le prime due sono state tra l’altro evidenziate dalla sentenza n.146/99 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 18 marzo 1999, per cui l’avvocato comunitario può "chiedere al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati l’iscrizione nel registro di cui all’art.12 della legge 31/82, attuativa della Direttiva CEE 77/249(del 22 marzo 1977), per lo svolgimento della libera prestazione dei servizi; oppure richiedere l’iscrizione all’albo,  ai sensi del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (che ha abrogato e sostituito il d. lgs. n.  115/1992) di attuazione della direttiva  n. 2005/36/CE (che ha abrogato e sostituito la direttiva n. 89/48/CEE),  previo riconoscimento del proprio titolo da parte del Ministero della Giustizia ed il superamento della prova attitudinale dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.
La terza possibilità deriva dalla direttiva 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, della quale parleremo più avanti.

La direttiva  n. 2005/36/CE,  relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, pubblicata nella G.U.U.E. del 30 settembre 2005, n. L 255 ed entrata in vigore il 20 ottobre 2005, , nel 1° considerando ribadisce il principio fondamentale per cui, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del trattato, l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l'altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale.
Il sistema generale si fonda su una innovativa costruzione giuridica per cui, se una persona è idonea all’esercizio di una professione in uno Stato membro, si presume che il suo bagaglio formativo le consenta di esercitare la stessa professione in tutti gli altri Stati dell’Unione, salva la necessità di "misure compensative", che possono consistere in una prova attitudinale od in un tirocinio di adattamento, e che vengono richieste al fine di colmare eventuali lacune presenti nella formazione accademico-professionale del professionista "comunitario" rispetto alla analoga figura professionale italiana.
Nel caso specifico della professione di avvocato, tali misure compensative consistono sempre in una prova attitudinale, che normalmente comprende una prova scritta ed una orale.
La prova attitudinale viene stabilita a  seconda del percorso accademico-professionale del richiedente; si evidenzia che il sistema di riconoscimento è tale per cui la dimostrazione da parte dell’interessato della conoscenza di materie fondamentali del diritto italiano – conoscenza acquisita con esami sostenuti in università italiane - viene presa in considerazione al fine della riduzione dell’entità della misura compensativa richiesta.
L’organo competente per l’esecuzione della prova è il Consiglio Nazionale Forense, che ha sede presso il Ministero della Giustizia.

 

Il regolamento di attuazione per la prova attitudinale di cui all'art. 22 del D.Lgs. 206/2007 è stato emanato con  D.M. 28 maggio 2003, n.191 , pubblicato nella G.U. 25 luglio 2003, n.171 (Allegato III).


In pratica, per poter ottenere il riconoscimento del titolo di avvocato conseguito in uno Stato membro dell’Unione ai fini dell’esercizio della professione in Italia, è necessario seguire il procedimento di riconoscimento dei titoli professionali come previsto dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (che ha abrogato il d. lgs. n.  115/1992) che ha recepito nell’ordinamento giuridico italiano la Direttiva  n. 2005/36/CE.
Sulla base di tale normativa, è possibile presentare domanda di riconoscimento del titolo professionale al competente Ministero della Giustizia.


Le informazioni relative alla procedura per il riconoscimento dei titoli professionali conseguiti all'estero e la modulistica per presentare la relativa domanda di riconoscimento sono disponibili sul sito www.giustizia.it  al link aggiornato:

Ministero della giustizia | Riconoscimento dei titoli professionali conseguiti all'estero

Pertanto, si invita a visitare il sito, dove è possibile trovare ogni informazione necessaria utilizzando i link disponibili per le varie situazioni.

Si evidenzia che le istruzioni per la compilazione della domanda sono all’interno del link MODULI.


E’ interessante l’individuazione dell’oggetto del riconoscimento nel "prodotto finito", figura che indica un professionista qualificato già in possesso della formazione professionale richiesta per esercitare la sua professione nello Stato membro di provenienza, e che coincide, nel linguaggio della direttiva, con la nozione di "diploma".
Per ogni singola istanza di riconoscimento, viene valutata l’ idoneità della documentazione presentata a dimostrare che il richiedente è un "prodotto finito".


Il decreto di riconoscimento rilasciato dal Ministero, una volta effettuata la eventuale prova attitudinale, costituisce titolo valido per l’iscrizione all’albo professionale e l’esercizio della professione in Italia.

4) IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA PROFESSIONE FORENSE: LA DIRETTIVA 98/5/CE
La direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio delle Comunità Europee del 16 febbraio 1998 volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica, dà finalmente concreta attuazione al diritto di esercizio in forma stabile della professione forense nell’ambito della Comunità Europea.
La nuova direttiva integra la normativa comunitaria specificamente dedicata alla professione forense, finora limitata, con la direttiva 77/249/CEE (del 22 marzo 1977), alle attività svolte a titolo di prestazione di servizi.
Sulla base degli articoli 3, 49 e 57 (artt. 3, 40 e 47 nella versione consolidata) del Trattato sull’Unione Europea, viene oggi affermato un vero e proprio diritto di stabilimento a beneficio degli avvocati europei, in forma semplificata rispetto a quanto previsto dal sistema generale di cui alla direttiva 2005/36/CE. Per quanto riguarda i rapporti tra le due direttive "forensi", viene espressamente stabilito che la direttiva 98/5(del 16 febbraio 1998) non riguarda le prestazioni di servizi disciplinate dalla direttiva 77/249/CEE; inoltre, l’obbligo di iscrizione in un apposito registro presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante, ora previsto per gli avvocati che intendano esercitare in uno Stato membro diverso da quello di acquisizione della qualifica, oltre a rappresentare una forma di tutela per gli utenti, elimina i problemi che potevano nascere precedentemente: infatti, in base alla direttiva del 1977, ed in assenza di un obbligo di iscrizione in un albo professionale, era possibile che un avvocato, a prescindere dalla residenza, si spostasse quotidianamente da uno Stato membro ad un altro per svolgervi la propria attività in forma di fatto stabile.
A fondamento della nuova disciplina si rinviene la considerazione che, mentre alcuni avvocati possono integrarsi nella professione dello Stato membro ospitante, in particolare superando la prova attitudinale prevista dalla direttiva 2005/36/CE, altri avvocati in possesso di tutte le qualifiche prescritte devono poter ottenere tale integrazione dopo un certo periodo di esercizio della professione nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale di origine, oppure continuare la loro attività con il titolo professionale di origine stesso7.
Nel preambolo (5° considerando) viene anche posto in evidenza come la direttiva offra agli avvocati, rispetto al sistema generale di riconoscimento, un modo più semplice per integrarsi nella professione dello Stato membro ospitante, rispondendo così contemporaneamente alle esigenze degli utenti del diritto che, "a motivo del flusso crescente delle attività commerciali, dovuto particolarmente alla creazione del mercato interno, chiedono consulenze in occasione di operazioni transfrontaliere nelle quali si trovano spesso strettamente connessi il diritto internazionale, il diritto comunitario e i diritti nazionali".
La direttiva, nata su impulso del Conseil des Barreaux de la Communauté Européenne (CCBE, organo rappresentativo degli ordini forensi europei), si pone su un piano parallelo rispetto alla direttiva 2005/36/CE, ed è chiaramente finalizzata ad agevolare il riconoscimento delle qualifiche professionali del settore; tra l’altro, essa valorizza l’esperienza professionale acquisita nello Stato membro ospitante, forte della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in riferimento agli art.48 e 52 (artt. 39 e 43 nella versione consolidata) del Trattato sull’Unione Europea.
Il Decreto Legislativo n.96 del 2 febbraio 2001, che ha recepito in Italia la direttiva 98/5/CE(del 16 febbraio 1998), disciplina nel Titolo I quella che è la caratteristica principale della nuova direttiva, ossia l’esercizio permanente della professione di avvocato da parte di cittadini di uno Stato membro in qualità di "avvocato stabilito" (Capo II) o "avvocato integrato" (Capo III).
Per quanto riguarda la prima categoria, gli artt. 6 ss. consentono agli avvocati comunitari in possesso di uno dei titoli indicati all’art.2 di esercitare la professione di avvocato in Italia iscrivendosi in una Sezione Speciale dell’Albo degli Avvocati, utilizzando il proprio titolo professionale di origine e specificando l’organizzazione professionale di appartenenza nello Stato di origine stesso.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati deve provvedere alla iscrizione nella Sezione Speciale dell’Albo degli Avvocati, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda completa della documentazione necessaria, ed in caso di rigetto è tenuto a sentire preventivamente l’interessato e comunque a motivare la deliberazione.
Nell’esercizio di prestazioni di natura giudiziale, l’avvocato "stabilito" deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione in Italia con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con le autorità ed è responsabile dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori.
Viene così liberalizzato l’esercizio di tutte le attività che possono essere svolte dagli avvocati nei relativi paese di origine, anche come lavoratori subordinati, a prescindere dalla residenza, ad esclusione naturalmente delle attività che partecipano ai pubblici poteri.
Peraltro, per quanto riguarda la residenza si evidenzia il disposto dell’art.16 della legge italiana 21 dicembre 1999 n.526 (legge comunitaria) concernente i requisiti per l’iscrizione negli albi professionali, secondo il quale "per i cittadini degli Stati membri dell’ Unione Europea, ai fini dell’iscrizione in albi, elenchi o registri, il domicilio professionale è equiparato alla residenza".
Questa norma rappresenta un ulteriore passo avanti nel senso della liberalizzazione, poiché consente a cittadini italiani e comunitari di svincolare la facoltà di iscrizione all’albo professionale dalla loro residenza, senza con ciò privare il Consiglio dell’Ordine del potere di vigilanza, che rimane connesso al domicilio professionale.
Per quanto invece riguarda le prestazioni stragiudiziali, l’avvocato "stabilito" può offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato membro di origine, sul diritto comunitario e internazionale, e sul diritto nazionale, senza la necessità di agire di "concerto" con un avvocato iscritto all’albo professionale.
Tenuto a rispettare le regole professionali e deontologiche sia del proprio paese di origine che di quello ospitante, l’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello in cui ha acquisito la qualifica è tutelato nei confronti di eventuali decisioni discriminatorie o comunque infondate a norma dell’art.9 della direttiva 98/5/CE, anch’esso recepito nell’ambito del Decreto Legislativo n. 96/2001, per cui le decisioni con cui viene negata o revocata l’iscrizione presso il registro tenuto dall’autorità competente ai sensi della direttiva, così come le decisioni che infliggono sanzioni disciplinari, devono essere motivate e sono comunque soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno.
La situazione dell’"avvocato integrato" si colloca invece sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che, in particolare nella sentenza Vlassopoulou del 7 maggio 1991 (340/89), aveva valorizzato l’esistenza di una "sostanziale equiparazione tra la preparazione dell’avvocato proveniente da un altro Stato membro e quello locale".
In tale prospettiva, al fine del riconoscimento dei titoli e nel rispetto delle esigenze professionali, è stato previsto un sistema semplificato per l’assimilazione dell’avvocato "europeo" all’avvocato dello Stato membro ospitante.
L’art.10 della direttiva prevede così che l’avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato, con ogni informazione e documento utile, l’esercizio almeno triennale di un’attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, attività relativa al diritto di tale Stato, compreso il diritto comunitario, è dispensato dalla necessità di sostenere la prova attitudinale di cui all’art.14 della direttiva 2005/36/CE per accedere alla professione di avvocato nello Stato membro ospitante stesso.
Gli artt. 12 e ss. del Decreto Legislativo n. 96/2001 riprendono letteralmente il disposto della direttiva europea, così delineando la fattispecie della "integrazione nella professione di avvocato", e specificando che per esercizio effettivo e regolare della professione si intende "l’esercizio reale dell’attività professionale esercitata senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana."
L’avvocato stabilito che sia stato dispensato dalla prova attitudinale diviene "avvocato integrato", e, in presenza delle altre condizioni previste dalle disposizioni in materia di ordinamento forense, può iscriversi nell’Albo degli Avvocati, ed esercitare quindi la professione con il titolo di "avvocato".
Il 4° comma dell’art.12 del Decreto Legislativo n. 96/2001 fa comunque salve le disposizioni del Decreto Legislativo n. 115/1992 (abrogato e sostituito dal d. lgs. n. 206/2007) di attuazione della direttiva 89/48/CEE (abrogata e sostituita dalla direttiva n. 2005/36/CE), per cui l’avvocato che eserciti la professione in Italia con il proprio titolo originario può chiedere in qualsiasi momento il riconoscimento del proprio titolo ai sensi della direttiva stessa, al fine dell’accesso ed esercizio della professione di avvocato in Italia, seguendo le procedure "classiche" sopra illustrate.
L’art.14 del Decreto Legislativo n.96/2001 disciplina anche la situazione dell’avvocato stabilito che, pur avendo almeno tre anni di esperienza professionale maturata in Italia con il titolo professionale di origine ed essendo iscritto nella sezione speciale dell’albo, abbia però un’esperienza di minore durata con specifico riferimento al diritto italiano. In questo caso, l’accesso ed esercizio della professione con il titolo professionale di "avvocato", senza dover sostenere la prova attitudinale di cui all’art.4 delle direttiva 89/48, è subordinato alle seguenti modalità e condizioni:
- il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati tiene conto dell’attività effettivamente e regolarmente svolta, oltre che delle conoscenze ed esperienze professionali nel diritto italiano;
- sulla base di tutte le informazioni e i documenti utili forniti dall’avvocato interessato in relazione alla propria complessiva qualificazione professionale, il Consiglio dell’Ordine stesso, nel corso di un colloquio, compie una valutazione sull’attività effettuata.
Per quanto riguarda il procedimento, l’art. 13 del Decreto Legislativo n.96/2001 stabilisce che le domande di dispensa dalla prova attitudinale devono essere presentate al Consiglio dell’Ordine presso il quale l’avvocato stabilito è iscritto.
L’interessato allega alla domanda tutta la documentazione idonea a provare l’esercizio della attività professionale svolta nel diritto nazionale e comunitario, ed ogni informazione utile ai fini del procedimento.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati delibera in merito alla dispensa entro tre mesi dalla presentazione della domanda completa della necessaria documentazione, ed avverso tale delibera – motivata – è possibile presentare ricorso al Consiglio Nazionale Forense.
Infine, va notato che all’avvocato "integrato" viene riconosciuto il diritto di utilizzare sia il titolo professionale di origine che quello dello Stato membro ospitante.
Ulteriore novità introdotta dalla direttiva è la disciplina dell’esercizio in comune della professione: senza arrivare ad imporre forme giuridiche particolari (viene infatti definito studio collettivo qualsiasi associazione tra avvocati che esercitano la loro attività professionale in comune e sotto una denominazione comune), l’art.11 della direttiva 98/5/CE(del 16 febbraio 1998) stabilisce l’obbligo per lo Stato ospitante di consentire agli avvocati provenienti da uno o più Paesi membri l’esercizio in comune della professione, secondo modalità legislative, regolamentari e amministrative definite dallo Stato stesso.
E’ inoltre previsto il diritto, per qualsiasi studio collettivo organizzato in base alla legislazione di uno Stato membro, di aprire succursali o agenzie nell’Unione.
La direttiva 98/5/CE(del 16 febbraio 1998) rappresenta la risposta concreta ad un’esigenza di disciplina differenziata per la professione forense, caratterizzata dalla necessaria conoscenza del diritto interno dei vari Stati membri e dalla contemporanea rilevanza dell’esperienza maturata nel settore; si tratta di una nuova e semplificata forma di integrazione dell’avvocato europeo in uno Stato membro diverso da quello in cui ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione, il cui tratto saliente va individuato nella immediata possibilità di esercitare la professione, in forma diversa dalla prestazione di servizi, sulla esclusiva base del proprio titolo di origine.
Come si può facilmente immaginare, questa nuova direttiva ha già creato forti aspettative nella dimensione europea della professione forense, soprattutto in relazione ai non pochi avvocati europei che già svolgono attività professionale nel nostro Paese in regime di libera prestazione di servizi e con il proprio titolo di origine, che vedranno ormai sempre più vigorosamente realizzata la propria aspirazione ad una dimensione comunitaria.

 

5) IL RICONOSCIMENTO DEI TITOLI PROFESSIONALI STRANIERI CONSEGUITI IN 
AMBITO EXTRA-COMUNITARIO
 
In base alla recente normativa in materia di immigrazione - in data 3 novembre 1999 è stato pubblicato il D.P.R. 394/99, contenente il Regolamento di attuazione del Decreto Legislativo n.286 del 25 luglio 1998 (testo unico sulla disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) - i cittadini stranieri in possesso di un titolo professionale conseguito in un Paese non appartenente all’Unione Europea possono presentare domanda di riconoscimento del titolo stesso, al fine dell’esercizio della professione corrispondente in Italia.
In effetti, l’art. 49 del D.P.R. 394/99 stabilisce che i cittadini stranieri, regolarmente soggiornanti in Italia che intendono iscriversi agli ordini, collegi ed elenchi speciali istituiti presso le amministrazioni competenti, nell'ambito delle quote definite a norma dell'articolo 3, comma 4, del testo unico e del regolamento stesso, se in possesso di un titolo abilitante all'esercizio di una professione, conseguito in un Paese non appartenente all'Unione europea, possono richiederne il riconoscimento ai fini dell'esercizio in Italia, come lavoratori autonomi o dipendenti, delle professioni corrispondenti. Il riconoscimento del titolo può essere richiesto anche dagli stranieri non soggiornanti in Italia. Le amministrazioni interessate, ricevuta la domanda, provvedono a quanto di loro competenza. L'ingresso in Italia per lavoro, sia autonomo che subordinato, nel campo delle professioni sanitarie è, comunque, condizionato al riconoscimento del titolo di studio effettuato dal Ministero competente.  Per le procedure di riconoscimento dei si applicano le disposizioni del D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206, compatibilmente con la natura, la composizione e la durata della formazione professionale conseguita.

 Nel caso in cui il riconoscimento è subordinato al superamento di una misura compensativa ed il richiedente si trova all'estero, lo stesso può richiedere il  rilascio di un visto d'ingresso per studio, per il periodo necessario all'espletamento della suddetta misura compensativa.


In considerazione del fatto che vi sono numerosi casi di cittadini italiani e comunque comunitari che hanno conseguito il proprio titolo professionale in ambito extra-comunitario, l’art.1 co.2 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n.286 prevede che la normativa in questione venga applicata anche ai cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea in possesso di un titolo extra-comunitario, in quanto si tratti di norme più favorevoli.

La domanda di riconoscimento deve essere inoltrata in modo diverso a seconda che la domanda stessa venga presentata da un cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia o da un cittadino straniero che invii la domanda dall’estero, e che intenda utilizzare il riconoscimento del titolo professionale al fine di ottenere il visto di ingresso in Italia per lavoro autonomo:
· I cittadini stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia o che hanno già ottenuto un visto di ingresso in Italia, così come i cittadini comunitari in possesso di un titolo professionale conseguito in un Paese non appartenente alla Comunità Europea, devono chiedere al Ministero della Giustizia il riconoscimento del titolo stesso ai fini dell’iscrizione all’albo professionale in Italia e dell’esercizio della professione. La richiesta deve essere inoltrata secondo il fac-simile riscontrabile sul sito internet www.giustizia.it, dove viene anche evidenziata la documentazione che deve essere prodotta.

(si veda il link aggiornato:

Ministero della giustizia | Riconoscimento dei titoli professionali conseguiti all'estero )

 


· I cittadini stranieri non comunitari ancora soggiornanti all’estero che intendano trasferirsi in Italia per poter esercitare la loro attività professionale devono - al fine di ottenere il visto di ingresso per lavoro autonomo - richiedere al Ministero della Giustizia una dichiarazione che non sussistono motivi ostativi al rilascio del titolo abilitativo per l’esercizio dell’attività professionale in Italia, ai sensi dell’art.39 del D.P.R. 394/99.
Tale richiesta può essere inoltrata anche tramite procuratore.
La dichiarazione è rilasciata quando sono soddisfatte tutte le condizioni e i presupposti previsti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo richiesto, previa verifica della idoneità della documentazione presentata, che di fatto è per lo più la stessa documentazione richiesta nel caso sopra illustrato.
La necessità di produrre tale documentazione si spiega con il fatto che la dichiarazione rilasciata dal Ministero della Giustizia anticipa nella sostanza il contenuto del decreto di riconoscimento del titolo professionale, decreto che verrà rilasciato formalmente solo nel momento in cui lo straniero - avendo ottenuto il visto di ingresso - potrà dimostrare di aver conseguito un regolare permesso di soggiorno.
Dopo aver ottenuto dal Ministero della Giustizia la dichiarazione che non sussistono motivi ostativi all’esercizio della professione in Italia, lo straniero dovrà presentare alla Questura territorialmente competente, per l’apposizione del nulla osta provvisorio ai fini dell’ingresso, anche la dichiarazione che non sussistono motivi ostativi su indicata;


Il Ministero della Giustizia può stabilire con proprio decreto che il riconoscimento sia subordinato al superamento di una misura compensativa consistente nel superamento di una prova attitudinale, ai sensi dell’art.49 co.3 del D.P.R. 394/1999. Con il medesimo decreto sono definite le modalità di attuazione della misura compensativa, nonché i contenuti della formazione e le strutture presso le quali la stessa deve essere sostenuta. La misura compensativa ha lo scopo di verificare la conoscenza delle materie fondamentali relative allo svolgimento di una determinata professione in Italia.
L’eventuale conoscenza di alcune materie da parte dei richiedenti - sia sotto forma di studio che come esperienza professionale - viene tenuta in considerazione, se debitamente documentata, ai fini di una eventuale diminuzione dell’entità dell’esame.


Per quanto riguarda le professioni sottoposte alla vigilanza del Ministero della Giustizia, il procedimento di riconoscimento del titolo avviene presso il Reparto III riconoscimento titoli -  Ufficio II – Ordini professionali e albi - Direzione generale degli affari interni - Dipartimento per gli Affari di Giustizia - Tel. 06 68852192 – mail: riconoscimentotitoli.dginterni.dag@giustizia.it – PEC: prot.dag@giustiziacert.it

 

 in base ai criteri di cui alla su indicata direttiva 2005/36/CE che già disciplina la materia per i cittadini comunitari.


Sono sottoposte alla vigilanza del Ministero della Giustizia le seguenti professioni e possono pertanto ottenere il riconoscimento le seguenti attività professionali:

Agenti di cambio, Dottori Agronomi e Dottori Forestali, Agronomi e forestali junior, Zoonomi, Biotecnologi agrari, Agrotecnici e Agrotecnici laureati, Assistenti sociali specialisti e Assistenti sociali, Attuari e Attuari junior, Avvocati, Biologi e  Biologi junior, Chimici e  Chimici junior, Consulenti del lavoro,  Dottori commercialisti ed Esperti contabili, Geologi e Geologi Junior, Geometri e Geometri laureati, Giornalisti, Ingegneri (Ingegnere civile e ambientale, Ingegnere industriale, Ingegnere dell’informazione, Ingegnere civile e ambientale junior, Ingegnere industriale junior, Ingegnere dell’informazione junior), Revisori contabili,  Tecnologi alimentari, Periti agrari e Periti agrari laureati, Periti industriali e Periti industriali laureati.

 

 Per la professione di architetto, l’ autorità competente al riconoscimento del titolo professionale straniero è il Ministero dell’Università e della Ricerca.

In caso di riconoscimento del titolo, il cittadino straniero non comunitario potrà richiedere l’iscrizione all’albo professionale previa presentazione della copia conforme all’originale del decreto di riconoscimento rilasciato dal Ministero della Giustizia, oppure del decreto firmato digitalmente.
Nel complesso, risulta evidente la rilevanza socio-economica della normativa indicata, che consente a cittadini di ogni Paese del mondo di poter vedere riconosciuta –nell’ambito dell’ordinamento italiano – la professionalità acquisita nel Paese di origine, consentendo così a chi si trovi in possesso di tutti i requisiti necessari sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista personale (in termini di regolarità del soggiorno in Italia) di esercitare la propria professione iscrivendosi nell’albo di competenza.
Le domande di riconoscimento provenienti da ogni parte del mondo sono nel tempo aumentate, congiuntamente alla consapevolezza della possibilità di vedere riconosciuta la valenza delle qualifiche professionali conseguite nel proprio Stato di origine.   

 

Dott.ssa Emanuela Ronzitti


NOTE
1 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sentenza Coenen del 26 novembre 1975 (39/75).
2 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sentenza Commissione c. Germania del 4 dicembre 1986 (205/84).
3 Pubblicato nella G.U.R.I. (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana) 9 novembre 2007, n.261.
4 Tenendo presente la normativa sulla semplificazione amministrativa, di recente raccolta nel D.P.R. n.445 
del 28 dicembre 2000 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di 
documentazione amministrativa).
5 Pubblicata in G.U.U.E. (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea) L 255/22 del 30 settembre 2005.
6 Giuffrida R., La direttiva n.98/5 sul diritto di stabilimento degli avvocati, in Temi Romana, 1999, p.620.
7 Cfr. 3° considerando della direttiva 98/5/CE.
8 Giuffrida R., cit., p.621ss.
9 Pubblicato sulla G.U.R.I. (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana) n.79 – Serie Generale – del 4 aprile 2001.
10 Ossia svolta senza interruzioni diverse da quelle dovute alla normale vita quotidiana.

 

 

 

 

 

 

ALLEGATO I

 

Domanda di riconoscimento di titolo professionale conseguito nell’Unione europea

 

LINK:

 

https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/riconoscimento_titoli_conseguiti_da_cittadini_comunitari_in_paesi_ue_see_svizzera?tab=m

 

 

 

ALLEGATO II

 

 

Domanda di riconoscimento di titolo professionale conseguito in ambito extra-UE

 

LINK:

 

https://www.giustizia.it/giustizia/page/it/come_fare_per_riconoscimento_titoli_conseguiti_in_paesi_extra_comunitari?tab=m

 

 

ALLEGATO III

 

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

DECRETO 28 maggio 2003 n. 191

(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del 25 luglio 2003)


REGOLAMENTO DI CUI ALL'ARTICOLO 9 DEL DECRETO LEGISLATIVO 27 GENNAIO 1992, N. 115, IN MATERIA DI PROVA ATTITUDINALE PER L'ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO

Il Ministro della giustizia

di concerto con

il Ministro per le politiche comunitarie

e il Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca

Visto l'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115, relativo ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di durata minima di tre anni, e, in particolare, l'articolo 9, il quale prevede che, mediante decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro per le politiche comunitarie e con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica sono emanate disposizioni e direttive generali volte a regolamentare le misure compensative previste per il riconoscimento dei titoli nell'ipotesi di formazione professionale sostanzialmente diversa da quella contemplata nell'ordinamento scolastico italiano;

Visto, in particolare, l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 115 del 1992, ove il riconoscimento è subordinato al superamento di una prova attitudinale per la professione di avvocato;

Vista la determinazione interlocutoria del Consiglio di Stato, presa dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 30 settembre 2002;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 13 gennaio 2003;

Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri a norma dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (nota n. 885-U.L.47/13-1 del 24 aprile 2003);

Adotta il seguente regolamento:

Art. 1.  (note)

Definizioni

 

1.     

Ai fini del presente regolamento si intende per:

a.    

"decreto legislativo", il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115;

b.    

"decreto ministeriale di riconoscimento", il decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115;

c.    

"richiedente", il cittadino comunitario che domanda, ai fini dell'esercizio della professione forense in Italia, il riconoscimento del titolo rilasciato dal Paese di appartenenza attestante una formazione professionale al cui possesso la legislazione del medesimo Stato subordina l'esercizio della professione.

Art. 2.  (note)

Contenuto della prova attitudinale

 

1.     

La prova attitudinale prevista dall'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo ha luogo, almeno due volte l'anno, presso il Consiglio nazionale forense. L'esame, da svolgersi in lingua italiana, si articola nella prova scritta e nella prova orale, salvo quanto previsto dal comma 5.

2.    

L'esame si svolge nel rispetto delle condizioni stabilite nel decreto ministeriale di riconoscimento e verte sulle materie ivi indicate, previa valutazione della formazione del richiedente. Il decreto di riconoscimento individua le materie di esame tra quelle elencate nell'allegato A al presente regolamento.

3.    

La prova scritta consiste nello svolgimento di uno o più elaborati vertenti su non più di tre materie tra quelle indicate nel decreto di riconoscimento quali materie su cui svolgere la prova scritta, di cui una a scelta dell'interessato.

4.    

La prova orale verte su non più di cinque materie scelte dal richiedente tra quelle indicate nel decreto di riconoscimento quali materie su cui svolgere la prova orale oltre che su ordinamento e deontologia professionale.

5.    

Se il richiedente è in possesso di titolo professionale conseguito a seguito di percorso formativo analogo a quello richiesto dall'ordinamento italiano, l'esame consiste nell'unica prova orale.

Art. 3.

Commissione d'esame

 

1.     

Presso il Consiglio nazionale forense è istituita una commissione d'esame per lo svolgimento della prova attitudinale, composta da cinque membri effettivi e da cinque membri supplenti.

2.    

La nomina di tre membri effettivi e di tre membri supplenti è effettuata tra professionisti iscritti all'albo degli avvocati con almeno otto anni di anzianità designati dal Consiglio nazionale; la nomina di due membri effettivi e di due membri supplenti, tra professori di prima o di seconda fascia o ricercatori confermati presso un'università della Repubblica nelle materie su cui è sostenuta la prova attitudinale, previa designazione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

3.    

La commissione è costituita con decreto del Ministro della giustizia e dura in carica tre anni. La commissione presieduta dal componente, designato dal Consiglio nazionale, con maggiore anzianità di iscrizione all'albo professionale, giudica e delibera con la presenza dei cinque componenti effettivi. In caso di assenza o impedimento del presidente, la commissione è presieduta dal componente con maggiore anzianità di iscrizione all'albo professionale; in caso di assenza o impedimento dei componenti effettivi, subentrano i componenti supplenti. Le funzioni di segretario sono svolte dal componente, designato dal Consiglio nazionale, avente minore anzianità di iscrizione all'albo professionale. Le deliberazioni e le valutazioni diverse da quelle disciplinate dall'articolo 6 sono adottate a maggioranza.

4.    

Il rimborso delle spese sostenute dai componenti della commissione è a carico del Consiglio nazionale forense.

Art. 4.  (nota)

Vigilanza sugli esami

 

1.     

Il Ministro della giustizia esercita l'alta sorveglianza sugli esami e sulla commissione prevista all'articolo 3 in conformità alle disposizioni contenute nel regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 e successive integrazioni.

Art. 5.  (nota)

Svolgimento dell'esame

 

1.     

Il richiedente presenta al Consiglio nazionale forense domanda di ammissione all'esame redatta secondo schema allegato sub B al presente regolamento, unitamente a copia del decreto ministeriale di riconoscimento, autenticata anche ai sensi delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

2.    

Entro il termine massimo di sessanta giorni dal ricevimento della domanda, la commissione si riunisce su convocazione del presidente per la fissazione del calendario delle prove d'esame. Le prove scritte, ciascuna della durata massima di sette ore, si svolgono in giorni consecutivi. Tra la data fissata per lo svolgimento dell'ultima prova scritta e quella delle prove orali non può intercorrere un intervallo inferiore a trenta e superiore a sessanta giorni. Della convocazione della commissione e del calendario delle prove è data immediata comunicazione all'interessato, al recapito da questi indicato nella domanda, ed al Ministero della giustizia.

Art. 6.

Valutazione della prova attitudinale

 

1.     

Per la valutazione di ciascuna prova ogni componente della commissione dispone di dieci punti di merito. Alla prova orale sono ammessi coloro che abbiano riportato in ogni prova scritta una votazione minima complessiva pari a 30. Si considera superato l'esame da parte dei candidati che abbiano conseguito, anche nella prova orale, un punteggio complessivo non inferiore a trenta.

2.    

Allo svolgimento della prova scritta presenziano almeno due componenti della commissione.

3.    

Dell'avvenuto superamento dell'esame la commissione rilascia certificazione all'interessato ai fini dell'iscrizione all'albo.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.


ALLEGATO A
(art. 2)      

 

ELENCO DELLE MATERIE

 

1.     

Diritto costituzionale.

2.    

Diritto civile.

3.    

Diritto commerciale.

4.    

Diritto del lavoro.

5.    

Diritto penale.

6.    

Diritto amministrativo.

7.    

Diritto processuale penale.

8.    

Diritto processuale civile.

9.    

Diritto internazionale privato.

10. 

Ordinamento e deontologia professionale.

 

Allegato B
(art. 5)   

Il/la sottoscritto/a ...........................................

nato/a il................... a...............; cittadino/a .........

residente in ......................................................

in possesso dei titolo professionale di ........................... ;

rilasciato da ...................................................;

a compimento di un corso di studi di.......................... anni,

comprendente le materie sostenute presso l'Università .............

con sede in.......................................................,

iscritto nell'albo professionale di .......... dal ............

ed in possesso del decreto ministeriale di riconoscimento del proprio titolo professionale emesso in data .................

domanda


ai sensi e per gli effetti dell'art. 6, comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115 di poter partecipare alla prova attitudinale secondo quanto previsto nel decreto ministeriale di riconoscimento di cui sopra.

A tal fine tra le materie indicate nel decreto ministeriale di riconoscimento - indica quale materia su cui svolgere la prova scritta: ....

e quali materie su cui svolgere la prova orale le seguenti:

1.     

 

2.    

 

3.    

 

4.    

 

5.    

 

allega:


copia di un documento di identità;

copia autenticata del decreto ministeriale di riconoscimento. La copia del decreto di riconoscimento può essere effettuata anche avvalendosi delle modalità alternative all'autenticazione di copie previste dall'art. 19 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Data ...............

Firma ..................

 

NOTE


Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto dall'amministrazione competente per materia, ai sensi dell'art. 10, comma 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione dalle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge alle quali e' operato il rinvio. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti.

Note alle premesse:

·       

Si riporta il testo del comma 3, dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400:

"Art. 17 (Regolamenti).

da 1 a 2 (omissis).

3.    

Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.

4.    

-bis (omissis).".

·       

Si riporta il testo degli articoli 6 e 9 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni):

"Art. 6 (Misure compensative). -

3.  

Il riconoscimento è subordinato, a scelta del richiedente, al compimento di un tirocinio di adattamento della durata massima di tre anni oppure al superamento di una prova attitudinale:

a.    

se la formazione professionale attestata dai titoli di cui all'art. 1 e all'art. 3 verte su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate nella formazione professionale prescritta dalla legislazione vigente;

b.    

se la professione cui si riferisce il riconoscimento dei titoli comprende attività professionali che non esistono nella professione corrispondente del Paese che ha rilasciato i titoli o nella professione esercitata ai sensi dell'art. 3, lettera b).

 

4. 

Il riconoscimento è subordinato al superamento di una prova attitudinale se riguarda le professioni di procuratore legale, di avvocato, di commercialista e di consulente per la proprietà industriale.

5.    

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, di concerto con i Ministri interessati, osservata la procedura comunitaria di preventiva comunicazione e in assenza di tempestiva opposizione della Commissione delle Comunità europee, possono essere individuati, con riferimento alle situazioni previste dagli articoli 3 e 4, altri casi di obbligatorietà della prova attitudinale.

6.    

Nei casi in cui è richiesto il tirocinio o la prova attitudinale, non si applica il secondo comma dell'art. 5 del presente decreto.".

"Art. 9 (Disposizioni applicative delle misure compensative).

7.

Con decreti del Ministro competente ai sensi dell'art. 11, di concerto con il Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie e con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il Consiglio di Stato, sono emanate disposizioni e direttive generali per l'applicazione degli articoli 5, 6, 7 e 8, con riferimento alle singole professioni e alle relative formazioni professionali.".